Quotidianamente siamo chiamati, e sollecitati per questo, ad agire con intenzionalità nei confronti delle persone con disabilità inserite nei nostri servizi; ci imbattiamo, pertanto, nella domanda cruciale inscritta nella relazione d'aiuto: qual'è il senso del nostro intervento riabilitativo?
E se tale interrogativo è necessario (= non possiamo non porcelo) ogni qualvolta siamo implicati in una relazione educativa nel ruolo di adulto responsabile perseguendo quell'andare oltre quel che si è, verso la piena realizzazione della persona, favorendone il divenire del progetto esistenziale, diventa oltremodo problematico e insidioso ipotizzare interventi laddove l'autoderminazione dell'altro resta imbrigliata e compromessa dalle limitazioni e dal grado invalidante di disabilità.
Ogni giorno è ripartire da capo....
Sappiamo bene quali sono i rischi che corriamo. Fantasmi della propria e altrui (i componenti della equipe, il coordinatore, la direzione..) inadeguatezza bussano a chiedere ragione della impotenza e della negazione di senso del nostro lavoro di fronte alla incontrovertibile diagnosi medica di ritardo mentale grave, sindrome di ..., autismo, sclerosi tuberosa,... Capita spesso che per difenderci ci si affidi a tecniche e interventi specialistici che si trasformano in addestramento del disabile, alla spasmodica ricerca di una conformità sostenibile e di risposte/ricette risolutive. Ed ecco raggiunta l'altra polarità: la nostra onnipotenza al servizio del bisognoso...
Eppure... ogni giorno ho modo di sperimentare e vivere la permanente educabilità dell'uomo, ciascun uomo e sebbene le situazioni che affrontiamo nel Centro Diurno o nelle Comunità Alloggio siano complesse, esse ci parlano di PROGETTO, FUTURO, CAMBIAMENTO, CRESCITA, VOLONTA', DESIDERI...
Ciò che sperimento come elemento valido è la direzione dello sguardo dell'educatore, il fatto di fissare il punto di partenza che è dato dal limite ma potendolo oltrepassare, costruendo insieme relazioni che nel tempo assumono significato per me, per l'altro, per tutti noi.
Il lavoro sul "campo" diventa così terreno fertile, luogo significante da preparare, da proteggere, da seminare, da irrigare (con tutte le fatiche che comportano tali cure) ma generativo per coloro che lo alimentano. Questa per me è la Cooperativa, il "campo" dove lavoro.
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